Tra tazze di thé e plaid, l’inverno freddo del gas bisogna saperselo godere

2022-11-03 14:12:18 By : Mr. Mike Lin

Non oltre 19 gradi, e una settimana in meno di riscaldamento. Tempi duri. Quando sono nato la seconda guerra mondiale non era ancora finita. Una famiglia borghese cittadina, la mia, nonni laureati, per dire. Qualche famulo di campagna faceva arrivare le uova, ogni tanto un pollo.

Quanto al riscaldamento mi divertiva molto quel sistema: la nonna prendeva vecchi giornali, li immergeva nell’acqua e ne faceva delle palle grandi un pugno, che poi rimanevano il tempo giusto ad asciugare.

Ben secche e dure, erano il combustibile della stufa. Bruciavano lentamente e non facevano un gran caldo, ma un poco sì.

Venne il miracolo, cambiarono molte cose. L’impianto centralizzato sostituì la stufa. Il frigorifero sostituì la ghiacciaia.

Peccato; era bello, quando eravamo al mare, arrivava l’uomo con la stecca di ghiaccio sulla spalla, sotto un sacco di iuta. Di iuta pesante era anche il sacco maleodorante col quale in città il netturbino veniva fino a casa a raccogliere i nostri rifiuti.

Io volevo fare il lattaio, perché al tramonto bussava lui, errabondo con la sua biciletta; veniva dalla campagna, con i bidoni di zinco attaccati al manubrio, a versarci il latte nelle nostre bottiglie. Ora potevamo metterle nel frigorifero, e duravano più giorni. La zia nubile era abbastanza ricca: un giorno acquistò addirittura un frullatore, roba da film americano.  

Forse da quell’infanzia mi è rimasta l’abitudine, quando sento freddo, di mettermi un maglione più pesante. O di farmi un thè caldo, di rifugiarmi sotto il piumone. Mi piace. Mi torna alla mente una delle scene finali di Guerra e Pace, quando Pierre Besuchov entra nella grande stanza in penombra e sul momento non vede Natasia, che è in un angolo, in un cono di luce.

Lì avveniva uno scambio umano, penso, non nell’acceccante luce elettrica che dilaga nelle nostre case.

Un plaid sul divano, la sera. La borsa dell’acqua calda – non più lo scaldino, col “prete a letto” - scaldava le lenzuola

Francamente, non vedo come i gradi in meno possano scatenare il disagio sociale. Ma forse è perché non vedo, appunto.

Però mi domando cosa ne pensi la generazione gretathunberg. I loro genitori – i nostri figli – che scendevano in strada a gridare yankee go home vestiti con pantaloni mimetici molto yankee, ambivano al viaggio coast to coast e l’America insegnava loro a vivere in t-shirt tutto l’anno, e se avevano freddo ad alzare il termostato.

Forse è stato solo un momento, quando le automobili erano grandi grandi e le risorse abbondavano. Faranno lo stesso, i gretathunberghiani? Grideranno save the planet, e poi alzeranno il termostato? Non credo.

Certo, il doppio maglione, la tazza di thé e il plaid bisogna saperseli godere, non basta l’ideologia. E noi, con le nostre memorie infantili, siamo meglio attrezzati. Ancora esitiamo quando vediamo che nulla si ripara, si rammenda, si accomoda, e tutto si sostituisce.

Mi domando se con quella stagione abbiano a che fare le fissazioni nimby, quando gli eredi dei sessantottini fanno una gran confusione per un tubo di gas che scorre sottoterra, sotto gli ulivi, o per il colore di una nave che può stonare col panorama, o per un termovalizzatore che chissà.

Ma può anche darsi che di quell’epoca dei nonni rimanga traccia nel fondo della memoria di tutti, e che si chiuda un ciclo. Un ciclo breve, tutto sommato, se ancora è in vita i nonni chi li ricorda, quei tempi.

Tempi che nei decenni trascorsi anche noi avevamo dimenticato, sepolti dall’onda del progresso, barricati in una bolla di benessere, respingendo l’assedio di popoli poveri alle nostre coste.

Ce li ha ricordati, quei tempi, la crisi del gas, e la guerra. Una generazione nata al terminare di una guerra ne intravede un’altra…

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Storico e docente universitario italiano, studioso di storia contemporanea e di storia socio-politica delle istituzioni.