Impermeabilizzazione primaria di coperture piane: la progettazione e i dettagli esecutivi | Articoli | Ingenio

2022-11-03 14:13:15 By : Ms. Amanda Cheung

Facendo riferimento alla norma UNI 8178-2 che distingue gli strati di impermeabilizzazione primaria da quelli secondari in questo articolo si approfondiscono i criteri progettuali dello strato primario fornendo utilissimi dettagli esecutivi e suggerimenti per una impermeabilizzazione a regola d'arte.

La Norma UNI 8178-2:2019 definisce come impermeabilizzazione primaria o elementi o strati primari, come gli “elementi a strati sempre presenti in un determinato schema funzionale e nelle relative soluzioni tecnologiche” e come elementi o strati secondari “elementi e strati finalizzati al controllo delle interazioni fisiche, chimiche e meccaniche, secondo la specifica soluzione tecnologica”.

La Norma chiarisce in buona sostanza che all’interno di una stratigrafia di copertura, è possibile distinguere due piani d’intervento, uno sempre presente a cui viene deputato il compito di “mantenere il manufatto all’asciutto”, quello primario, ed uno riferito più a mantenere l’integrità degli elementi accessori della copertura, quello secondario; la Norma stessa recita: ”…..omiss ….si ricorda che gli schemi funzionali….omiss….devono essere eventualmente integrati con elementi e strati secondari specifici, … omiss.” in modo da chiarire che una progettazione che prevede solo la valutazione e determinazione di uno strato primario può essere considerata corretta in mancanza di ulteriori elementi che necessitano di uno strato secondario (ad esempio una copertura piana con membrane a vista), mentre non può essere ritenuta corretta una progettazione che implichi la sola presenza di uno strato secondario, senza le necessarie valutazioni e determinazioni della tipologia di strato primario (ad esempio una copertura piana con massetto e pavimento, non può essere ritenuta corretta se presenta uno schema funzionale con presente il solo strato secondario).

Vediamo di seguito di analizzare dettagliatamente il procedimento di progettazione, scelta e posa degli elementi o strati primari.

Quando si progetta l’impermeabilizzazione primaria di una copertura piana, è necessario avere ben chiari la destinazione d’uso della copertura e tutti gli elementi che compongono la stratigrafia, strutturando il processo decisionale in modo sequenziale, analizzando e prendendo in esame tutte le potenziali problematiche a cui il manto di tenuta all’acqua andrà in contro.

In buona sostanza, dovremmo conoscere ed analizzare ogni passaggio in riferimento ai vari componenti di seguito elencati:

La prima importante valutazione riguarda la destinazione d’uso della copertura stessa, in quanto dalla tipologia di destinazione dipendono le sollecitazioni a cui il manto verrà sottoposto durante la sua vita operativa, in quanto una copertura pedonabile, solitamente protetta da un massetto con pavimento o da una pavimentazione “galleggiante” o ancora da un battuto in cemento o altro, è gravata da condizioni meno aggressive rispetto ad una versione non pedonabile in cui il manto impermeabile, rimanendo a vista, cioè direttamente esposto agli agenti atmosferici, deve sopportare una serie di sollecitazioni decisamente più gravose.

Un’altra importante distinzione va effettuata in merito alla presenza o meno di uno strato coibente da cui si determina anche l’impostazione della stratigrafia secondo la filosofia del tetto caldo, cioè composto da uno strato di controllo del vapore, l’isolante termico e uno o due strati di manto impermeabile o del tetto freddo (anche detto tetto rovescio), in cui l’impermeabilizzazione funge anche da controllo del vapore e l’isolante e verso l’esterno, viene solitamente protetto da una zavorra (ghiaia, cemento, pavimenti galleggianti…).

La prima filosofia descritta è ad oggi la tipologia “Regina” per le membrane mentre la seconda è più sfruttata per la posa dei teli sintetici, a base di PVC (polivinil cloruro), TPO (poliolefine), EVA (etil vinil acetato), EPDM (Gomma vulcanizzata).

Come per tutte le cose anche in questo caso i vantaggi e gli svantaggi si spartiscono. Se per la tecnica del tetto caldo si schierano in molti grazie alla facilità di ricerca del potenziale guasto (nel caso della totale aderenza), alla leggerezza (non necessita zavorra), alla facilità di manutenzione e riparazione (non si deve spostare la zavorra) ed alla capacità di mantenere l’isolante protetto dagli agenti atmosferici, ad appannaggio del tetto freddo avremmo costi più contenuti (si risparmia uno strato).

Di seguito si riportano dei disegni esplicativi con annessa tabella descrittiva delle stratigrafie, in riferimento alle tipologie di coperture a terrazza sopra presentate.

Fig. 1 Stratigrafia - schema funzionale per un tetto senza strato coibente

Fig. 2 Stratigrafia - schema funzionale per un tetto caldo

La posizione del massetto delle pendenze è stata chiarita dalla Norma UNI 8178-2, tale strato deve essere effettuato sempre prima del primo strato impermeabile (la barriera al vapore o le membrane di tenuta) e comunque mai all’interno di strati impermeabili (cioè mai tra la barriera al vapore e gli strati di tenuta), in modo da garantire che un’eventuale infiltrazione possa comunque essere smaltita e convogliata agli scarichi sfruttando appunto la pendenza.

Fig. 3 Stratigrafia - schema funzionale per un tetto freddo

Per quanto concerne il supporto sarà necessario che questo abbia delle caratteristiche minime per garantire la massima adesione della membrana:

Nei casi in cui vi sia la presenza di uno strato coibente, è sempre buona norma, a meno di precise indicazioni dell’esperto termotecnico, prevedere una membrana predisposta al controllo del vapore.

Mediamente le membrane bitume-polimero sono barriere al passaggio del vapore, avendo coefficienti di diffusione del vapore particolarmente elevati.

Parliamo di membrana di barriera al vapore quando il valore del coefficiente di diffusione del vapore (µ) è dell’ordine dei 100.000, una membrana bitume-polimero è sull’ordine di 70.000; parliamo di barriera al vapore assoluta per valori del medesimo indice che vanno da 1.000.000 a 5.000.000 e membrane speciali avente al loro interno, spesso accoppiata all’armatura della membrana, una lamina di alluminio.

Per arrivare a valori più bassi di diffusione del vapore è necessario che la presenza della massa impermeabilizzante bituminosa, diminuisca di densità e spessore.

Sulla necessità della presenza di una membrana di barriera al vapore si potrebbe scrivere un libro. Negli ultimi quindici anni ho assistito al susseguirsi di molte correnti di pensiero in merito all’utilità dell’uso di una barriera al vapore all’interno del pacchetto di una copertura, c’era chi lo riteneva inopportuno e chi lo riteneva necessario.

Per quanto mi riguarda mi limiterò ad esporre alcuni punti fondamentali per comprendere il problema:

Per quanto riguarda le membrane bitume polimero di posa tradizionale, la funzione di barriera al vapore può essere svolta, nella stragrande maggioranza dei casi, da una membrana impermeabilizzante (anche armata velo di vetro VV come indicato dalla EN 13707). Esistono anche membrane specifiche, aventi sia funzione di barriera al vapore (anche con lamine di alluminino o lamine metalliche al loro interno) con funzione di incollaggio dei pannelli e funzione di barriera al gas Radon.

Ne esistono versioni con facce adesive, versioni con facce coperte di strisce adesivizzate che rinvengono se sottoposte a leggera sfiammatura, versioni con mescole specifiche per l’incollaggio e altre infine, con “bottoni” di bitume su cui ancorare i pannelli (non di EPS e XPS) per rinvenimento a fiamma delle bugne.

Una volta determinata l’eventuale necessità e tipologia dello strato adibito a funzione di barriera al vapore e stabilita la tipologia, spessore e resistenza alla compressione dello strato isolante, sarà possibile passare all’analisi delle sollecitazioni a cui sarà sottoposto il manto ed in base a queste, selezionare la tipologia di membrane che andranno a fornire il manto di tenuta all’acqua primario.

La scelta della tipologia di membrane preposte alla tenuta idraulica (impermeabilizzazione primaria), andrà valutata considerando le varie sollecitazioni a cui il manto potrà essere sottoposto durante la sua vita operativa.

Essendo un manto coperto dalla presenza del massetto e della pavimentazione, le sollecitazioni legate alla variazioni climatiche e di temperatura saranno chiaramente meno importanti e si potrà concentrare l’attenzione solo sulle potenziali sollecitazioni legate agli eventuali movimenti del supporto (che potrebbero instaurare un regime di sforzi a fatica che col tempo potrebbero compromettere la tenuta impermeabile), alla resistenza alle radici (qualora sulla terrazza sia prevista una porzione a verde) ed alla resistenza al punzonamento statico, qualora sulla terrazza gravassero pesi di una certa rilevanza.

Per quanto riguarda le caratteristiche di flessibilità del manto, la scelta potrà cadere su membrane armate in tessuto non tessuto di poliestere, stabilizzate con fibre di vetro longitudinali (dette armature composite) o biarmate, in grado di garantire resistenze alla trazione longitudinale e trasversale minima di 350/300 N/5 cm ed allungamento a rottura minimo del 40%, aventi flessibilità a freddo di -10°C ÷ -15°C, a meno di climi particolarmente rigidi o supporti particolarmente instabili, dove saranno preferibili membrane ad elevata flessibilità a freddo (-20°C ÷ -25°C).

Per quanto riguarda la metodologia di posa, di seguito vengono riportati alcuni suggerimenti utili a fornire una lavorazione a regola d’arte.

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Ingegnere esperto in fisica delle costruzioni e Tecnico competente in acustica ambientale

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